di Roberto Fioravanti

Il contributo della fenomenologia

L’esperienza frammentata e ricca di vuoti da riempire, o già dominata da una produzione delirante, è una delle caratteristiche della sintomatologia schizofrenica. Nel fenomeno psichico della scissione della mente, la forma e il contenuto del pensiero cambiano e nei vissuti si producono esperienze che si discostano dalla norma, spesso fino alla disgregazione della personalità. Le storie della zona scura dell’anima e della sofferenza psichica non hanno trovato consenso negli studi psichiatrici che considerano, come oggetto d’indagine, l’uomo prima della malattia psichica.

La fenomenologia ha controbattuto le tesi della psichiatria naturalistica: la malattia psichica non deriva necessariamente da una causa organica o da una disfunzione cerebrale.
Scrive a questo proposito Eugenio Borgna (1):

La psichiatria, che abbia come suo oggetto la sola esistenza della malattia (questa entità astratta e inafferrabile che, in psichiatria, è chiamata illusoriamente malattia) non può capire come i sintomi di un’ esperienza psicotica, anche i sintomi più radicali e significativi come quelli allucinatori e deliranti, siano così modificabili e così camaleonticamente trasformabili nei contesti ambientali in cui i pazienti vivano e agiscano.

Secondo gli studi che fanno capo alla fenomenologia, le funzioni psichiche dell’individuo dipendono dal rapporto con l’ambiente d’appartenenza e dall’evoluzione che implica tale relazione. La malattia mentale è la possibilità di osservare il mondo con modalità autonome, è una forma nuova di vita. L’uomo – malato, non la malattia, diviene così depositario di un nuovo sapere. La conoscenza s’allarga a confini inesplorati e la relazione arricchisce i canali comunicativi fra medico e paziente. Le categorie di spazio e tempo assumono così il valore di circoscrivere l’esperienza psichica e di evidenziarla nella sua unicità. A tutto ciò fa riferimento la letteratura psichiatrica che s’ispira alla psicopatologia comprensiva di Karl Jaspers. Il malato deve essere ascoltato nel suo raccontarsi e nel suo descriversi (2).
Il disturbo psichico deve essere accolto, compreso e interpretato. La pratica dell’ascolto è premessa per iniziare un percorso terapeutico, in cui le storie di vita sono protagoniste. La fenomenologia si distingue così per il valore riconosciuto alla comunicazione e per l’esigenza di osservare e descrivere i fatti, piuttosto che servirsi di teoremi astratti. La psichiatria, che s’avvale del contributo fenomenologico, riflette sulla condizione esistenziale dell’uomo, privilegiando i segni dell’esperienza piuttosto che la classificazione dei sintomi.

Poesia e Psichiatria

Quando la coscienza, la memoria e il pensiero si distinguono dalla loro funzionalità reale, il tempo e lo spazio diventano variabili impazzite. Il sintomo del delirio sembra compromettere l’identità dell’individuo, radicato corpo e anima del mondo. Un flusso d’idee e di percezioni trova così libertà nella fantasia, che trascende la realtà e la sostituisce. L’io diventa altro e le categorie di spazio e tempo delineano confini soggettivi.
Nella fuga dall’esperienza reale la scrittura assume il ruolo di mediatrice fra finzione e realtà: le parole fissate su un foglio di carta organizzano visivamente un pensiero (3). Attraverso la poesia, la sofferenza prende corpo e si descrive, come nel caso di Margherita, la paziente schizofrenica, raccontata da Borgna in Come se finisse il mondo. I versi sono espressioni di un malessere che possiede il dono di una malinconica creatività. Il delirio produce un linguaggio ricco di figure retoriche, ma nello stesso tempo grigio nel contenuto (4):

Si tocca il fondo
quando si diventa indifferenti
al proprio dolore.

Le parole di Margherita cristallizzano uno stato d’animo in preda all’angoscia e alla perdita. Il male diviene condizione esistenziale che relega l’io a condividere l’esperienza con il dolore, senza neppure sentirne l’intensità. Ai margini del dolore psichico, osservato dal punto di vista fenomenologico, c’è la soggettività dell’esperienza irripetibile e perciò difficilmente catalogabile. La scrittura rappresenta così una possibilità per aprire una finestra sull’individuo e per confrontarsi con la sua sofferenza, che, in quanto personale, non può essere paragonata a quella di altri. In particolare la poesia come forma letteraria ha la qualità di rappresentare gli strati più intimi della personalità. Attraverso il gioco della metafora l’io compone e scompone la propria identità, rivelando una varietà di stati d’animo ed emozioni. I versi sono frammenti di coscienza, che sovrapposti fra loro cercano armonia e unità nella composizione. Quando si scrive, lo spazio e il tempo s’identificano in confini e il pensiero si traduce in parole e immagini. Nel poetare i sentimenti si liberano dall’oscurità ed esprimono le loro frasi più nascoste, fino ad ottenere soluzioni purificatrici. Ci si può, infatti, sciogliere dal silenzio delle proprie angosce e paure, attraverso la scrittura, e provare l’effetto catartico studiato da Aristotele nel suo trattato sulla poetica. In una delle sue corrispondenze con un giovane poeta, così si esprime Rainer Maria Rilke (5):

Si interroghi sul motivo che le intima di scrivere; verifichi se esso protenda le radici nel punto più profondo del suo cuore; confessi a se stesso: morirebbe se le fosse negato scrivere?

Interrogare, verificare e confessarsi sono strumenti da non sottovalutare per un poeta alle prime armi. Nelle parole del poeta praghese la scrittura è un atto vitale, un momento intimo di riflessione, la cui rinuncia porterebbe alla fine di un mezzo espressivo, alla morte della sensibilità artistica. Scrivere è quindi ricercare e fare i conti con la propria coscienza. Al giovane collega Rilke chiede un giuramento di fedeltà nei confronti della poesia, perché i versi possono indagare e portare a galla le verità che restano nell’ombra della coscienza. La scrittura giova alla chiarezza di sé. Senza il presupposto del mettere in gioco il proprio io, non ci sarebbe confidenza, non si sfiorerebbe le radici e si rimarrebbe in superficie: requisito non ascrivibile al mestiere di poeta. Meglio morire che non avere l’opportunità d’esprimersi. Nella stessa lettera il poeta praghese consiglia al suo giovane interlocutore di trovare il nesso fra la scrittura e la memoria, di elaborare la propria esperienza rispetto ad emozioni vissute nel passato. L’introversione del mondo poetico è per Rilke una possibilità per rinforzare il legame fra la propria personalità e il tempo. Il recupero dei ricordi, attraverso la scrittura in versi, è una possibilità per ritrovare se stessi, motivo indipendente rispetto alla buona riuscita delle composizioni. Scrivere fa bene, perché il guadagno ricavato nella ricostruzione della memoria rende fiducioso lo scrittore rispetto al proprio futuro. Il tempo ritrova sequenza e logica, lo spazio vitale acquista coerenza, così che le strade da percorrere sembrano meno tortuose (6):

La sua vita in ogni caso troverà, da quel momento, proprie vie; e che possano essere buone, ricche e ampie, questo io le auguro più di quanto sappia dire.

Nella solitudine dell’ispirazione lo scrittore raggiunge il proprio equilibrio spazio – temporale. Il giovane poeta può così ripercorrere il proprio percorso e conoscere a fondo la sua personalità, fin tanto da esplorare nuovi orizzonti di conoscenza. Le prospettive di vita si aprono ad un nuovo ventaglio di scelte, che derivano dalla maggior consapevolezza di sé, ottenuta attraverso la ricerca poetica. Il futuro resta tuttavia un’incognita, determinato dalla casualità degli eventi. L’epistolario di Rilke nasce fra il 1903 e il 1905, negli anni in cui Sigmund Freud elabora i rudimenti della sua teoria psicoanalitica: nel 1899 era stato pubblicato L’interpretazione dei sogni. La prima topica freudiana era già realizzata, l’apparato psichico umano fondava su tre sistemi raffigurabili nello spazio: conscio, preconscio, inconscio. I sogni erano la via principale per accedere al rimosso, all’inconscio, luogo dove ricercare i sintomi delle nevrosi. Il tema del rafforzamento dell’io trova la sua elaborazione teorica definitiva nel saggio del 1923: L’Io e l’Es (7).
La psicoanalisi deve fare in modo che l’Io si mantenga autonomo dalla censura del Super-Io, dal corollario delle regole e dei divieti imposti dalla cultura e dai genitori. L’Io, che risponde al principio di realtà, deve inoltre subentrare all’ Es, zona delle pulsioni e determinato dal principio del piacere.

Il male di vivere

La perdita, la tristezza motivata e immotivata, la nostalgia sono le tematiche che hanno donato creatività e inventiva alla poesia, che intorno al dualismo amore – morte ha descritto storie di uomini e fatti. Attraverso la musicalità delle parole, i poeti hanno rappresentato le loro condizioni esistenziali e gli stati d’animo. Nella storia della letteratura italiana l’esistenzialismo in poesia è stato motivo dominante delle opere di Giacomo Leopardi ed Eugenio Montale, i poeti filosofi. Un terzo poeta, Dino Campana, figura unica e non conciliabile alle altre due, è stato detto l’ultimo dei maledetti, per i legami fra la sua poesia, il decadentismo francese di Rimbaud e Verlain e la sua malattia mentale. Spesso il male di vivere ho incontrato (8) scrive Eugenio Montale nell’incipit di una delle sue composizioni più note. In una serie di metafore dove il male dell’io s’interseca con la morte della natura, il poeta genovese esprime la propria inadeguatezza. Davanti alla dissolvenza del mondo, l’io subisce il male e le sue ferite, infine, quando si manifesta il vuoto divino, non resta che il nulla della rassegnazione. La malattia di vivere è in questa poesia di Montale una condizione abituale, avvertita nel suo ripetersi dai correlativi oggettivi, da metafore di dissolvenza, come indici del malessere.
Il dolore sperimentato nei versi ha una semantica psicologica e può essere colto, solo attraverso le immagini prodotte dalle parole. La sofferenza riguarda l’anima più che il corpo: la descrizione del male sfiora le sue zone oscure e impalpabili. Le categorie di spazio e tempo definiscono, attraverso la biografia dello scrittore, punti di riferimento per fare luce sulla propria esperienza esistenziale e per tradurre gli indecifrabili paesaggi dell’anima. Il passato è condizione essenziale per recuperare lo spessore vitale, per dare un senso alla contemporaneità e aprire una speranza per il futuro. Nell’interiorità l’io incontra sentimenti e stati d’animo. La letteratura nasce nel pastiche delle emozioni, nei chiaroscuri fra bene e male. La tristezza e la gioia, la nostalgia e la letizia si rivelano grazie alle figure retoriche. Nella poesia Cigola la carrucola nel pozzo, il tema del ritorno è descritto da sequenze drammatiche, il confronto fra le dimensioni di presente e passato si risolve in un nulla di fatto. L’Io, che si specchia e si congiunge con il proprio ricordo, non si riconosce:

Accosto il volto a evanescenti labbra:
si deforma il passato, si fa vecchio
appartiene ad un altro…

La distanza fra la memoria e il presente è incolmabile: l’Io è scisso e altro, è una visione, un volto sconosciuto. Lo spazio del ricongiungimento temporale sembra adeguato per un attimo, nell’illusione che il presente e il passato ritrovino il filo conduttore, ma l’immagine che si cancella nell’acqua e il secchio che torna in fondo al pozzo, sono metafore dello scioglimento e della precarietà.
Di Stimmung depressiva come condizione esistenziale, si può parlare anche per l’opera di Giacomo Leopardi. La tristezza leopardiana, commentata da E. Borgna in Noi siamo un colloquio(9), è uno stato, comunque, non identificabile con la malattia degli psicotici depressi. La malinconia è, infatti, un sentimento che può cogliere chiunque, in qualsiasi momento della vita. Nella biografia del poeta recanatese la tristezza vitale rincorre un tempo che non si è mai realizzato, lasciando nella dimensione del ricordo speranze e attese. La poesia ha perciò il ruolo di recuperare lo spazio del vissuto, i valori e il proprio destino. La noia, il binario morto della condizione dei depressi, acquista un’immagine paradossale nei versi di Leopardi: è assenza di dolore, è piacere. Così scrive ne La quiete dopo la tempesta (10):

Uscir di pena.
E’ diletto fra noi.
Pene tu spargi a larga mano; il duolo
Spontaneo sorge: e di piacer quel tanto
Che per mostro e miracolo talvolta/
Nasce d’affanno, è gran guadagno…

Non esiste il piacere di per sé, perché è il pericolo scampato dopo un temporale a ridonare la quotidianità, la ciclicità, la noia. Nel momento in cui lo spazio ritrova i suoi abituali confini, l’Io del poeta s’aggrappa alla staticità del prima, alla gioia vana frutto del passato timore, a quando il niente della quiete era più confortevole dell’avvento della natura maligna. La noia della ritualità e del presente lento sono immuni alla sofferenza per un destino incerto. Ne Il sabato del villaggio la tristezza sfocia nella nostalgia. Le attese disilluse per il giorno di festa e di riposo sono le metafore del fanciullo che sogna il proprio avvenire. Il passato e le figure dei ricordi rompono l’immobilità del presente. Attraverso la fuga nel tempo, il poeta cerca di sfuggire alla sua contemporaneità pietrificata. A differenza della malinconia immotivata degli psicotici depressi, la tristezza di Leopardi trova le parole per descriversi e trovare delle motivazioni, evitando di sconfinare nella pesantezza vitale. Ne L’infinito, Fingere con il pensiero, immaginare sono i mezzi con cui il poeta ricostruisce il suo passato e lo fa allacciare al proprio presente. La scrittura diviene così mediatrice del passaggio e consente di sdrammatizzare gli effetti dell’infinito silenzio dello spazio, dove l’Io è difficilmente collocabile. L’immaginazione rende dolce l’inevitabile naufragio e annegamento del pensiero. La poesia intrecciata alla malattia mentale ha caratterizzato l’opera di Dino Campana. Il poeta ha convissuto fin dai primi anni della propria vita con una sofferenza nervosa, che l’ha costretto a numerosi ricoveri in ospedali psichiatrici, fino alla definitiva reclusione nel manicomio di Castel Pulci. Erede della tradizione simbolista e maledetta di Baudelaire e Rimbaud, Campana ha espresso attraverso i suoi versi il tema del viaggio, della ricerca nell’inconscio e della fuga nell’irrazionale. Visionario, visivo o pazzo, secondo le considerazioni pro e contro di critici e poeti contemporanei, il poeta ha lasciato il proprio testamento scritto nella raccolta: Canti Orfici. Il tema della scissione e del contrasto fra luce e ombra, fra esterno e interno, fra vita e morte sono alcune ricorrenti prerogative della poetica di Dino Campana. Così scrive ne Il canto della tenebra (11):

La luce del crepuscolo si attenua:
Inquieti spiriti sia dolce la tenebra
Al cuore che non ama più!

In un’atmosfera di presagio e di chiusura verso l’oscurità, il dolore del buio è la ricompensa per chi non è in grado di provare il sentimento d’appartenenza alla vita. Nel passaggio non graduale fra il chiaro e lo scuro l’Io paga dazio con la solitudine (12):

una piccola catastrofe che solo la tenacia e la volontà di sentirsi Io può far finta di non avvertire.

Il ritorno del buio ripiega su di sé e nel meraviglioso delirio dell’ispirazione nuove forme di vita e figure prendono quota nell’oscurità: Sorgenti sorgenti abbiam da ascoltare…
Nella solitudine il poeta accoglie le suggestioni dei suoi fantasmi interiori e trova un equilibrio non sperato, seppure la soluzione sia unica e incontestabile:

Ma per i cuori leggeri un’altra vita è alle porte:
Non c’è di dolcezza che possa uguagliare la Morte.

Una volta che gli spiriti inquieti delle tenebre hanno avvertito il poeta sugli scopi della loro manifestazione, non resta che la fuga dallo spazio: dall’interno verso l’esterno. Il vento che torna e il fiume che va via taciturno negli ultimi versi della composizione interrompono il dramma della rivelazione. Il viaggio riprende, la rincorsa verso il buio e verso l’irreversibilità della sofferenza ricomincia senza soste.

L’inconscio e la metafora

Partendo dal concetto di rimozione, Sigmund Freud ha elaborato la teoria dell’inconscio, frutto della filosofia di Schopenhauer, ed ha scoperto le regole per averne ragione (13). Esistono due specie d’inconscio (14):

il latente e tuttavia capace di giungere alla coscienza, e il rimosso che in quanto tale e di per sé non è capace di giungere alla coscienza.

Il compito della psicoanalisi è eliminare, secondo Freud, le resistenze che l’Io oppone al rimosso. Tuttavia l’Io stesso ha bisogno di un particolare lavoro, perché si comporta a volte come il rimosso. Di conseguenza l’inconscio non coincide necessariamente col rimosso, mentre il rimosso è inconscio e lo è anche una parte dell’Io. La rimozione, studiata dalla generazione successiva a Freud in particolare da sua figlia, Anna Freud, e da M.Klein, è stata quindi classificata fra i meccanismi di difesa dell’Io (15).

E’ un processo involontario di allontanamento dalla coscienza di desideri, emozioni, pensieri disturbanti.

Il recupero del rimosso è perciò spesso l’incontro e il riavvicinamento con la sofferenza e la perdita. Attraverso la scrittura l’esplorazione del rimosso può avvenire gradualmente ed avere degli effetti riparativi. Stefano Ferrari nel suo saggio La scrittura come riparazione, riferendosi all’elaborazione del lutto attraverso il ricordo e prendendo spunto dal testo freudiano Lutto e melanconia, considera la scrittura come un mezzo per ripetere un’esperienza traumatica. Scrivendo della propria sofferenza il soggetto ha la possibilità di ribaltare una condizione di passività in una d’attività. Si riacquista così un controllo retrospettivo sugli avvenimenti, secondo la lezione freudiana di Al di là del principio di piacere. Quando lo scrittore riesce a trattare con superiore indifferenza il proprio mondo interno e il mondo esterno, allora scrivere porta a compimento la propria funzione riparatrice.

Ritornando con un ricordo sull’evento, la scrittura diviene lo strumento che guida il soggetto nel percorso di riparazione. La scrittura, infatti, permette di scaricare energia e di sottrarla alla sofferenza (16).

Il ricordo consente alla memoria un cammino a ritroso, una spola fra le dimensioni del tempo. Ricordare stimola la correzione di un evento doloroso, che recuperato lentamente attraverso la parola e la frase si libera del suo silenzio interiore. La memoria scende così nella parte più oscura dell’anima, nell’inconscio, nella dimensione in cui la speranza e il futuro si oscurano (17).

Spesso il dolore ha le sembianze di un grido muto, inabissato nell’anima ferita e incapace di dare voce e forma al male che lo divora. La malattia esistenziale si deposita in un fondo buio, in un tunnel profondo e senza uscita. In poesia la sofferenza, che scorre come un flusso di coscienza nei versi e nelle strofe, assume l’aspetto della metafora, di una figura retorica che nasconde il significato dietro ad un termine di paragone suggerito dal poeta e intuito dal lettore. L’oggetto della creazione letteraria nasce dalla selezione di parole che rimandano a sensi impliciti. La poesia è realizzata dalla composizione di fatti e immagini che allargano gli orizzonti di significato: sua caratteristica è la polisemia. Il poeta sceglie parole e significanti che nella valenza letteraria contengono non un significato, ma più. Nell’intreccio narrativo di un testo poetico, inoltre, la disposizione spaziale dei versi e la presenza o meno di rime, consonanze, assonanze, allitterazioni può dar vita ad una varietà d’interpretazioni da parte dei lettori occasionali o dei critici letterari. Scrive M. Di Salvo (18):

Nel contesto letterario la metafora serve allo scrittore per comunicare il proprio mondo interiore con il sigillo della propria espressività.

La metafora permette ai lettori di sperimentare emozioni e vissuti del poeta, offrendogli l’opportunità di verificare le capacità espressive e trasversali della parola. I versi poetici trasformano la parola scritta in immagine e rispecchiano la complessità della realtà inconscia del poeta. Nel significato delle immagini si rivela la stratificazione dell’Io che si ribella al suo rimosso ed esprime un codice linguistico segreto e figurativo. Nella poesia Il Porto Sepolto, G. Ungaretti riflette sul rapporto fra il poeta e la zona più scura della psiche (19):

Vi arriva il poeta
e poi torna alla luce con i suoi canti
e li disperde
Di questa poesia
mi resta
quel nulla
d’inesauribile segreto.

Nell’immagine del poeta che approda al porto sepolto si nasconde un’interiorità da esplorare e da far vivere attraverso la lirica. Il viaggio d’Ungaretti si conclude con la consapevolezza dell’esistenza di una profondità da dove attingere materia per la propria ispirazione. Tuttavia la discesa del poeta resta avvolta da un piacevole mistero, custodito gelosamente. La poesia si esprime attraverso i canti, che nascono da un percorso introspettivo, ma non rivela il suo segreto. E’ come se il poeta aprisse e chiudesse in pochi versi il suo mondo interno al lettore. Il porto sepolto, terra interiore e sconosciuta, è una dimensione difficile d’afferrare e interpretare, ma il poeta ne ha la possibilità, perché ha il dono di portare alla luce la parola e darle un senso evocativo. Il porto sepolto è perciò metafora del mondo interno del poeta, che, a sua volta, trova un sistema simbolico per esprimerlo e confrontarlo col mondo esterno. Nel suo libro Paesaggi dell’anima Umberto Galimberti scrive che la metafora evita che il pensiero si arresti in una parola, dando a questa l’opportunità di dirsi e di eclissarsi. La chiama: una sospensione della verità (20).

La dispersione dei canti ricavati dal mondo interiore frena la ricerca della verità. Ungaretti dice e non dice e così la rivelazione si chiude inevitabilmente nel nulla della parte inconscia di sé, fonte inesauribile di segreti e pensieri. Nel legame fra la letteratura e la psicoanalisi, S. Ferrari ipotizza la possibilità che la scrittura sia l’estensione del mondo interno verso l’esterno. Secondo lo psicologo (21), la poesia risponde ad uno stato emotivo e ad una forte tensione interna. La pressione del desiderio nel diminuire questo conflitto sarebbe il risultato della riproduzione in versi. La poesia perciò libererebbe il rimosso e tradurrebbe in parole e forme stati d’animo, che all’ombra dell’Io spingono per sciogliersi dal nodo del silenzio. Obiettivo della metafora è quello di permettere agli esseri umani di trasferire fuori di sé ed esorcizzare la tensione interiore. La figura retorica acquista così il ruolo di mediatrice fra realtà interna e mondo esterno. La lirica, inoltre, ha la funzione di salvare ogni momento dell’essere riconducendo la frammentarietà dell’esperienza nella compattezza e logica di un testo scritto: le categorie di spazio e tempo si delineano perciò in una struttura sintattica e semantica. Si stabilisce, infine, un contatto fra l’Io e le radici della sua identità.


Bibliografia

  • (1) Borgna, E., “Come se finisse il mondo”, Feltrinelli, Milano, 1995, p. 20.
  • (2) Cfr. Gaston, A., Gaston, C. M., “Psichiatria e Igiene mentale”, Masson, Milano, 1997, p. 8.
  • (3) Cfr. McLuhan, M., “Gli strumenti del comunicare”, Il Saggiatore, Milano, 1967, pp. 91 – 98.
  • (4) Borgna, E., “Come se finisse il mondo”, Feltrinelli, Milano, 1995, pp. 135 – 139.
  • (5) Rilke, R.. M., “Lettere a un giovane poeta”, Oscar Mondadori, Milano,1994, p. 38.
  • (6) Rilke, R.. M., “Lettere a un giovane poeta”, Oscar Mondadori, Milano, 1994, p.40.
  • (7) Freud, S., “L’Io e L’Es”, Bollati Boringhieri, Torino, 1976.
  • (8) E. Montale, “Tutte le poesie”, Mondadori, Milano, 1984.
  • (9) Borgna, E., “Noi siamo un colloquio”, Feltrinelli, Milano, 1999
  • (10) Leopardi, G., “Canti”, Rizzoli, Milano, 1949.
  • (11) Campana, D., “Canti Orfici”, Einaudi, Torino, 2003.
  • (12) Galimberti, U., “Paesaggi dell’anima”, Mondadori, Milano, 1996, p. 104.
  • (13) Cfr. Galimberti, U., “Paesaggi dell’anima”, Mondadori, Milano, 1996, p.p. 81 – 85.
  • (14) Freud, S., “L’Io e L’Es”, Bollati Boringhieri, Torino, 1976, p. 22.
  • (15) Bartoli, G., Bonaiuto, P., “Psicodinamica e sperimentazione”, Carocci editore, Roma, 1997, p.199
  • (16) Cfr. Ferrari, S., “La scrittura come riparazione”, Editori Laterza, 1994, Roma – Bari, pp. 91 – 93.
  • (17) Cfr. Borgna, E., “L’arcipelago delle emozioni”, Feltrinelli, Milano, 2001, pp. 133 – 135.
  • (18) Cfr. Porcheddu. A, “Comunicazione, formazione e tecnologie avanzate”, Edizioni libreria Croce, Roma, 2000, p.139.
  • (19) Ungaretti. G, “Tutte le poesie”, Mondadori, Milano, 1964.
  • (20) Cfr. Galimberti, U., “Paesaggi dell’anima”, Mondadori, Milano, 1996, p. 114.
  • (21) Cfr. Ferrari, S., “La scrittura come riparazione”, Editori Laterza, 1994, Roma – Bari, pp. 217 – 225.