Nota: qualche tempo fa ho deciso di utilizzare un film per discutere alcune dinamiche di gruppo nel corso di Psicologia dei gruppi che tenevo a Roma Tre. La scelta, con una certa sorpresa degli studenti, è caduta sullo splendido “Galline in fuga”. Del resto, secondo me i grandi film raccontano grandi storie, anche se a volte per accorgersene bisogna recuperare uno sguardo “limpido” (o, come direbbe Antonio Spadaro, “fresco“). E per gustare una grande storia non è proibito farsi anche due grandi risate. Nel raccontare di recente l’episodio all’amico Andrea Monda, non potevo non confessare di aver ricevuto dal suo articolo una certa ispirazione. Mi sono reso conto che era online, sì, ma non su Asterione, dove invece ha pieno diritto di residenza (l’articolo orginale è su BombaCarta). Eccolo dunque fedelmente riportato.

Cristiano M. Gaston


di Andrea Monda

Galline in fuga (Chicken Run è il titolo originale) “fa il verso ai film” che raccontano storie di grandi evasioni da carceri e dai carceri militari come The Great Escape con Steve McQueen e, soprattutto, il bellissimo film Stalag 17 di Billy Wilder con William Holden. Le galline del film vivono in un allevamento che però assomiglia molto da vicino ad un campo di concentramento con tanto di filo spinato tutto intorno e gli alloggiamenti che raccolgono le galline che si chiamano Stalag (e quello delle protagoniste è proprio il numero 17). In questa prigione-allevamento le galline vivono una vita da..gallina: covano, beccano, spettegolano, consumano e si nutrono di grano ed erba e soprattutto producono uova in quantità industriale per la gioia dell’avida Mrs.Tweedy, acida e arida proprietaria della triste fattoria-lager. Sono solo consumatrici e carne da macello, nient’altro e, questo è peggio, non se ne accorgono nemmeno. Insomma sono proprio galline, anzi “oche”.

Però c’è qualche gallina che si oppone a questo stato di cose e di continuo organizza piani di fuga: è Gaia, la vera protagonista della nostra storia. Gaia è simbolo della coscienza: è lei la voce che spinge le compagne ad aprire gli occhi, ad agire, a ribellarsi di fronte alla schiavitù, a migliorare la propria condizione, è appunto la voce della coscienza (che il cardinale Newman chiamava “il primo dei vicari di Cristo”). La coscienza di Gaia quindi non è solo un fatto interiore, solitario, ma in qualche modo “collettivo”: all’inizio della storia vedremo come questa gallina “meno gallina” delle altre cercherà di risvegliare e scuotere le coscienze delle sue compagne di cella invitandole alla fuga di massa (è questa le scena più interessante, ai nostri fini, di tutto il film). I suoi tentativi all’inizio sono destinati a fallire, un po’ per la “lentezza”, tutta “aviaria”, del popolo delle galline, un po’ per le difficoltà oggettive: non è certo facile superare tutto quel filo spinato e quei controlli! Ma ecco che accade l’imprevedibile: piomba (è il caso di dire) all’interno dell’allevamento Rocky, un gallo che, apparentemente, sa volare. In realtà si tratta di un “gallo da circo”, un “gallo-cannone”, nel senso che Rocky è il protagonista di un numero da baraccone essendo il “proiettile” sparato da un cannone oltre il tendone del circo in cui lavora. In uno di questi numeri il buon Rocky (gallo un po’ “galletto”, un po’ sbruffone e guascone ma dal cuore d’oro) si trova sparato ogni oltre misura e scaraventato all’interno dell’allevamento. Quando Gaia lo vede sfrecciare nel cielo e atterrare a due passi da lei ecco che scatta l’equivoco sui cui si basa tutto il film: le galline pensano che Rocky sappia volare e gli chiedono di insegnargli il volo e di organizzare così la fuga, per via “aerea”. Per una serie di motivi, più o meno nobili, Rocky mente e si dichiara “volatile” a tutti gli effetti: inizia così l’esilarante sequenza delle lezioni di volo che il simpatico e ruspante galletto impartisce alle goffe e maldestre galline spronate dalla sempre generosa e volenterosa Gaia. Alla fine, dopo disastri e salvataggi “all’ultima penna”, il “sogno” del volo verrà realizzato, ma non per via naturale bensì artificiale: Rocky dovrà ammettere la verità (la sua incapacità a volare) ma l’evasione ci sarà lo stesso, a bordo di una specie di aeroplano molto “rustico” e pericolante che però porterà galli e galline oltre il mortifero recinto della cattiva (e punita) Mrs.Tweedy.

La difficile via per la libertà

Questo, in sintesi, il film. Il tema principale della pellicola è, ovviamente, la libertà, anzi la liberazione: l’azione di liberarsi, l’essere liberati, la libertà nel suo “farsi”. E’ questo della libertà un tema che sta molto a cuore agli studenti che spesso vivono l’adolescenza e la scuola con lo spirito degli animali in gabbia. Per affrontare questo tema, negli ultimi anni ho utilizzato Galline in fuga ed in particolare una scena di circa 5 minuti posta quasi all’inizio della vicenda. [1]

E’ la scena dell’”arringa” che la gallina Gaia, leader del gruppo dello stalag 17, rivolge alle sue compagne per convincerle a fuggire e a realizzare nuovi tentativi di evasione. L’arringa è necessaria perché Gaia si rende conto che le galline non hanno poi una grande voglia di uscir fuori dall’allevamento-lager. Gaia è appunto la “coscienza” del gruppo, colei a cui tocca il difficile compito di “aprire gli occhi” delle compagne. Il dialogo che si svolge è molto significativo: “ma volete per caso continuare soltanto a deporre le uova per tutta la vita?” chiede provocatoriamente Gaia. “E’ un mestiere” rispondono le galline (che per lo più rispondono “in coro”). Gaia parte all’attacco, con la sua arte oratoria accusando le sue amiche di avere dei “recinti mentali”, dentro la testa, recinti molto più difficili da superare rispetto a quelli fisici, di filo spinato e poi c’è l’affondo finale con cui Gaia cerca di convincere le pavide compagne che “c’è un posto migliore”, oltre il confine dell’allevamento ci sarà, ci “deve essere” un luogo dove cresce l’erba in abbondanza e si può stare in libertà. Le parole usate e le immagini che commentano questo passaggio dell’arringa sono chiaramente “bibliche”: Gaia sta di fatto parlando della “terra in cui scorre latte e miele” e mentre afferma che “c’è un posto migliore” mostra alle altre galline un manifesto (evidentemente di una pubblicità) dove è disegnato uno splendido paesaggio agreste con la scritta “Paradise”.

Ma le risposte delle galline sono quanto mai significative e rivelatrici del testo che corre sottotraccia rispetto a questa scena. “E chi ci nutre?” chiede a Gaia una gallina.

“Ci nutriremo da sole” risponde Gaia. “Ma dov’è l’allevamento?” chiede un’altra.

“Non c’è allevamento!”. “E dove vive l’allevatore?” “Non c’è l’allevatore!”

“E’ andato in vacanza?”… e così via, finché una gallina prende la parola e dice, recisamente: “Affrontiamo la realtà.. la nostra fuga ha solo una possibilità su mille di riuscita!”. “E’ sempre una possibilità” risponde Gaia, apparentemente sicura, quasi con tono di sfida, uscendo dallo stalag.. ma ecco che appena uscita scoppia in uno sfogo di pianto: “come faccio a guidare questo branco di…” (e tutti gli spettatori pensano, sorridendo, “galline”!). Al che Gaia alza gli occhi in alto, ammira la notte stellata e mormora: “Che il cielo ci aiuti”.. e la preghiera viene esaudita: un colpo di cannone e si sente un grido “Libertàààà!!!!”: ecco sfrecciare nel cielo blu Rocky, il gallo “volante” che atterra (in modo rocambolesca e comica) proprio davanti ai piedi di Gaia. E’ lui l’aiuto che scende dal cielo; sarà Rocky il “salvatore”, il “liberatore”.

Risulta allora chiaro il motivo per cui questo film si rivela un prezioso strumento didattico ai fini dell’IRC. Il testo che “nascosto” sotto le immagini di questo film emerge evidentemente: si tratta dell’Esodo. Le galline rappresentano gli Ebrei schiavi in Egitto e la figura di Mosè si “sdoppia” in Gaia (la portavoce del popolo) e Rocky (il liberatore). Nella scena che abbiamo appena “visto al microscopio” risulta evidente uno dei temi ricorrenti e più interessanti del secondo libro della Bibbia: la difficoltà della libertà e la tentazione, in cui gli uomini spesso cadono, di temere e rifiutare la libertà e soprattutto la sua “sorella”: la responsabilità. Una delle lezioni dell’Esodo è infatti proprio questa: l’uomo da una parte anela sempre alla libertà, ne chiede sempre di più ed è pronto a combattere per essa, ma, d’altra parte, la libertà mette paura all’uomo, gli appare come una minaccia rispetto ad un’esistenza da schiavi ma tranquilla e comoda. Le parole delle galline (“chi ci nutre?”, “dov’è l’allevatore?”) ricordano da vicino il mormorio continuo degli Ebrei, che dopo essere stati liberati dall’Egitto, di fronte e durante la temibile traversata del deserto, finiscono per rimpiangere la precedente situazione di schiavitù. Ecco due brani esemplificativi:

Esodo 16,2 – Nel deserto tutta la comunità degli Israeliti mormorò contro Mosè e contro Aronne. 3 Gli Israeliti dissero loro: “Fossimo morti per mano del Signore nel paese d’Egitto, quando eravamo seduti presso la pentola della carne, mangiando pane a sazietà! Invece ci avete fatti uscire in questo deserto per far morire di fame tutta questa moltitudine”.

Esodo 17,1 – …non c’era acqua da bere per il popolo. 2 Il popolo protestò contro Mosè: “Dateci acqua da bere!”. Mosè disse loro: “Perché protestate con me? Perché mettete alla prova il Signore?”. 3 In quel luogo dunque il popolo soffriva la sete per mancanza di acqua; il popolo mormorò contro Mosè e disse: “Perché ci hai fatti uscire dall’Egitto per far morire di sete noi, i nostri figli e il nostro bestiame?”. 4 Allora Mosè invocò l’aiuto del Signore, dicendo: “Che farò io per questo popolo? Ancora un poco e mi lapideranno!”.

Libertà e Responsabilità

La dinamica che il racconto dell’Esodo offre all’attenzione del lettore è profondamente rivelatrice della psicologia umana: la libertà è sempre oggetto della ricerca dell’uomo, ma la responsabilità è invece temuta, fuggita. Nel momento in cui gli Ebrei si trovano liberati, sul momento gioiscono e cantano la gloria del Signore che li ha portati fuori dall’Egitto, ma poi ecco che, davanti al deserto da attraversare, da soli, il canto si tramuta presto in pianto e lamento.

Nel film prodotto della Dreamworks le galline pongono “resistenza” ancora prima di essere liberate: a loro in fondo stare in quella prigione non dispiace, vengono nutrite e rifocillate (fin troppo!) e non devono fare nulla, è l’allevatore che fa fare loro tutto quello che devono fare. In questa luce l’allevamento è un lager ma anche un simbolo della società dei consumi che, grazie al benessere e ai comfort elargiti senza alcuno sforzo o merito, ottunde l’intelligenza critica e spegne la voce della coscienza. Le galline sono delle perfette “consumatrici”, inebetite dall’iper-nutrizione. E’ davvero difficile, per Gaia, far capire alle sue amiche, che, innanzitutto esse non stanno bene, non vivono pienamente la propria dimensione e vocazione, e poi che quindi devono “attraversare il deserto” della propria responsabilità per gustare pienamente la bellezza di una libertà autentica (che appunto non è mai disgiunta dalla responsabilità). E’ poi molto interessante osservare che il film non solo tiene unite libertà e responsabilità, ma ad esse aggrega anche il tema della verità. Non ci può essere libertà senza verità: Rocky, che si spaccia per gallo volante, verrà scoperto e anche punito per questo. Ma è proprio in quel momento che la libertà può essere raggiunta: solo quando l’uomo si riconosce limitato e fragile ecco che riesce ad ottenere i risultati più “alti”, quelli apparentemente posti al di là della sua portata, irraggiungibili. E’ necessario attraversare il deserto per raggiungere la terra promessa.

E’ chiara quindi la ragione per cui la visione di questo filmetto “per bambini” si rivela un’occasione formidabile per far riflettere gli studenti adolescenti sul tema della libertà-responsabilità e, anche, per farli riflettere sulla loro stessa condizione di ragazzi “sottoposti” alla scuola dell’obbligo, situazione che spesso rischia di assomigliare molto da vicino a quella delle galline chiuse nello stalag 17. La scuola, per gli studenti, finisce spesso per avere il cupo volto della terribile Mrs. Tweedy: è lei che con modi bruschi e autoritari, provvede però tutti i giorni a preparare la “pappa pronta” per le “galline-studenti” che non devono far altro che aprire la bocca (cioè studiare) e chiudere il becco (cioè non parlare in classe). Tutto ciò ad un tempo rassicura e frustra mortalmente i nostri ragazzi. La scuola dovrebbe invece educare alla responsabilità, dovrebbe, per dirla con Mark Twain, “insegnare ai ragazzi a pescare”, non “dar loro il pesce”. Paradossalmente l’unica lezione che, già in se stessa, rappresenta un’eccezione alla scuola-allevamento, è proprio l’ora di religione. Ed è proprio la “debolezza” di questa ora a rivelarsi come la sua forza: la mancanza di un voto “pesante” come quello delle altre materie, il fatto che sia l’unica materia facoltativa, il particolare che il giudizio degli insegnanti di religione non faccia media insieme ad altri aspetti che fanno della religione cattolica la “Cenerentola” delle discipline scolastiche, fanno anche sì che, poi, alla fine, sia proprio Cenerentola a sposare il principe azzurro. La metafora è chiara per chiunque abbia insegnato questa straordinaria materia: gli studenti spesso finiscono per premiare e gratificare proprio i docenti di religione, accordandogli un rapporto vero, schietto e aperto che magari negano agli altri professori, più temuti e “distanti”. I ragazzi non amano le costrizioni né le ipocrisie, vogliono rapporti autentici, profondi, in cui da tutte e due le parti della relazione ci si metta in gioco, apertamente e senza paura di infingimenti e subalternità.

Inoltre gli studenti delle medie superiori in particolare hanno molta voglia di crescere velocemente e di scappare dalla scuola per tuffarsi nel mondo del lavoro o degli studi universitari. Quando mostro loro quella sequenza di Galline in fuga, accompagnandola con la lettura di alcuni brani dell’Esodo, vedo che l’effetto è quello di una benefica doccia fredda. La riflessione, che spesso conduco, non da solo ma in modo dialettico insieme agli studenti, è tutta sulla differenza tra la “comodità mortale” del vivere in una realtà tutta “ovattata” ed etero-guidata ed una esistenza “senza accompagnamento” in cui la persona si trova sola a dover camminare con le proprie gambe. Avverto il “brivido” che questa riflessione provoca negli studenti, e mi rendo conto che hanno compreso che una vita senza rischio non è autenticamente umana, come lo è invece una vita “senza rete” nonostante essa incuta un certo timore, al punto che spesso gli uomini rinviano il momento dell’assunzione dei rischi (e qui i discorsi che si potrebbero fare sono diversi: dal fenomeno dei figli che non lasciano la casa dei genitori, che ritardano il momento del matrimonio e dell’avvio di una propria famiglia…).

Stimolati piacevolmente dalla visione del film i ragazzi vengono “scossi” e generalmente rispondono con partecipazione e meditazione alle tante riflessioni che possono scaturire da un discorso aperto e serio su questi temi grandi.

Un’ultima considerazione: Galline in fuga non è solo un film che permette di riflettere su questioni fondamentali come la libertà e la responsabilità, di grande e delicata importanza per ragazzi adolescenti, ma è anche una occasione che, in modo facile e lieve, permette un approccio piacevole al testo biblico di cui gli studenti riscoprono bellezza e profondità. E non è poco.


[1] – La scena in questione si svolge tra il 15^ e il 19^ minuto del film. Nella versione su DVD bisogna selezionare la scena n.6 (che inizia al 13^ minuto) e vederla tutta fino alla scena n.7 (che inizia al 17^ minuto).

© Andrea Monda – L’articolo è apparso sul n.1/2006 della rivista RSC Religione Scuola Città della diocesi di Roma