F. X. MesserschmidtF.X. Messerschmidt (1736-1783), scultore viennese, visse a Roma e a Londra ed insegnò presso l’Accademia d’arte di Vienna fino al manifestarsi dei primi disturbi mentali all’età di 35 anni.

Allontanato dall’insegnamento, si ritirò in solitudine a Pressburg (Bratislava) dove, sollecitato dal generale interesse per gli studi di fisiognomica di quel periodo, nonché dalle trame complesse e spaventose dei suoi deliri, iniziò a scolpire i suoi “busti fisiognomici” (oltre 60 autoritratti).

La straordinaria capacità di riprodurre fedelmente il corpo umano e le sue espressioni gradualmente si intrecciò con un’idea delirante secondo la quale i demoni delle proporzioni erano intenzionati a punirlo, violentandolo sessualmente, per questo suo innato talento artistico. Secondo lo storico dell’arte e psicoanalista E. Kris, lo scultore, nel suo delirio, si servì del suo talento per esprimere delle angosce rispetto alla propria potenza sessuale e alla possibilità di creare/generare: la sua creatività (rappresentante della potenza sessuale) non poteva infatti essere espressa liberamente, pena l’ira dei demoni, che inevitabilmente l’avrebbero trasformata in assenza di creatività (passività) attraverso una sodomizzazione.

Per fuggire l’ira dei demoni Messerschmidt ideò alcuni stratagemmi e soluzioni bizzarre; utilizzò, ad esempio, dei titoli chiaramente non corrispondenti all’espressione facciale riprodotta nei busti, sperando di convincere i demoni della propria assoluta incapacità di comprendere, padroneggiare e dunque generare le proporzioni umane, compito che solo a Dio compete.

Inoltre, nello scolpire i busti, evitò di riprodurre le labbra esasperando in varie smorfie le espressioni facciali, nel tentativo di allontanare qualsiasi fantasia sessuale e di scongiurare le aggressioni da parte dei demoni.

Se da una parte è possibile constatare come la psicosi di Messerschmidt abbia influito sulle sue capacità artistiche e sul suo stile, dall’altra è possibile evidenziare come l’intera produzione dell’artista viennese si collochi coerentemente all’interno della tradizione artistica del suo tempo.

Un ambiente ricettivo come quello dell’Europa al tempo di Messerschmidt, rese possibile, infatti, l’accettazione delle particolari opere del geniale scultore e permise il passaggio da un barocco ormai stanco ad un classicismo capace di aprire nuovi orizzonti agli artisti dell’epoca.

La patologia dello scultore sembra essersi presentata dunque in un contesto culturale in evoluzione particolarmente ricettivo ai cambiamenti formali in campo artistico ed aver permesso lo sviluppo di nuove correnti artistiche presenti in nuce nella società viennese.

Scrive Gombrich: “Quello che conta è che egli [l’artista] si sia trovato in una situazione in cui i suoi conflitti hanno acquistato importanza artistica. Senza i fattori sociali (cioè senza gli atteggiamenti, lo stile, le tendenze del gusto della sua epoca), le necessità private del suo creatore non potrebbero tramutarsi in arte.” ((Gombrich, E.H (1966) Freud e la psicologia dell’arte, Torino, Einaudi, 1967,1992 pag. 67.))

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